Angelo Disattivato
Anche voi però.
Usare gli argomenti che furono di Grillo per contrastare Grillo. E con gli stessi toni, gli stessi accenti. Rivendicare la vostra onestà perché in quanto dipendenti avete sempre pagato le tasse ( cioè mai vi è stata data la possibilità di evaderle...). Avercela su col reddito di cittadinanza a prescindere perché dato a chi poi starà sul divano, agli scansafatiche ( ma anche a chi invece lavora in nero) senza avercela mai avuta con la cassa integrazione data per anni ( e a Genova con l'ILVA ne sappiamo qualcosa...) a chi - col cazzo che voleva tornare a lavorare in acciaieria - perché nel mentre qualche lavoretto in nero lo trovava e comunque senza fare niente percepiva ( in realtà ancora percepisce) anche per più di un decennio, fino all'80% dello stipendio, rimanendo a poltrire sul divano come uno scansafatiche qualsiasi... Condannare l'elemosina grillina perché data agli scansafatiche, ma dopo aver votato Renzi dopo quei famosi 80 euro. Tutto questo e altro ancora (il tifo per lo spread ad esempio) fa di voi dei veri imbecilli. E dio, se esistesse, saprebbe quanto sul cazzo mi stia questo governo razzista, omofobo, ignorante, meschino: fascista. Anche voi però.
La povertà, la miseria,la dignità e i sacchi vuoti.
E’ il tempo delle parole usate a sproposito, sacchi da riempire di volta in volta dei concetti che vengan buoni alla bisogna del momento di chi si proponga di turlupinare l’ingenuo, il pigro o corto di cervello. Prendiamo a esempio il termine DIGNITA’ di cui tanto si riempono la bocca, tra gli altri, questi del “governo del cambiamento” ( a proposito di turlupinatori e corti di cervello…) sino a usarlo per denominare un decreto che, trai vari punti che nulla hanno a che fare quel titolo ( come il rinvio della scadenza dello SPESOMETRO o l’abolizione dello SPLIT PAYMENT PROFESSIONISTI), non inserisce, dopo averle per molti giorni sbandierate come priorità, nessuna delle riforme che avrebbero dovuto intervenire in modo radicale sulle regole del lavoro precario fortemente penalizzato dal Jobs Act di Renzi ( Di Maio aveva parlato a lungo anche dell’introduzione di misure di salvaguardia per i lavoratori precari della così detta GIG ECONOMY a cominciare dai RIDERS). Quelle riforme avrebbero forse riempito quel sacco di un piccolo contenuto, ma alla fine nel decreto non vi è traccia poiché tutti buoni propositi sono stati rimandati a un tavolo ancora da aprire tra il ministro e i rappresentanti delle società che il lavoro di quei giovani gestiscono. Il sacco è , insomma, rimasto vuoto: addio tutele previdenziali e antinfortunistiche, addio proibizione di retribuzione a cottimo, addio salario minimo orario, addio DIGNITA’. Ammesso che un lavoro possa conferire o togliere dignità a chicchessia. Il sacco insomma è rimasto vuoto.
Perché già faccio una fatica enorme ad accettare il concetto secondo il quale il lavoro renderebbe liberi ( e senza libertà di che dignità andiamo blaterando?), come, senza scomodare Hegel che poi mi si incazza Fusaro, afferma oggi dalle pagine del SECOLO XIX - dopo averlo fatto in settimana a LINEA NOTTE- lo scrittore Maurizio Maggiani, tessendo l’elogio proprio di quel LAVORO CHE RENDE LIBERI E CONFERISCE DIGNITA’. Lo scrittore spezzino lo fa raccontando dei suoi famigliari “ la gente di casa mia, uomini e donne che lavorava dieci, dodici ore al giorno. Nei campi, in fabbrica, in casa. La loro è stata una fatica che produceva cose utili e ben fatte...” Che poi sarebbero state il “ ci si nutrisse e vestisse e la domenica d’estate si potesse con la Vespa andare al mare e il sabato al cinema, perché ci si potesse curare nella malattia e per il mio compleanno avessi un regalo” oltre per al fatto che “io avrei studiato il pronipote, il nipote, il figlio, sarebbe stato il primo della famiglia a fare le scuole, su, su fin dove fosse arrivato col suo ingegno riscattando così la sua famiglia dalla servitù e dall’ignoranza che l’aveva costretta alla subalternità e all’arbitrio dei potenti...” Questa analisi, pur non mancando di una certa poesia nella stesura del Maggiani, nonché di una novecentesca ragionevolezza, non mi convince. Vorrei ricordare allo scrittore che, per quanto tragico e sarcastico l’Arbeit macht frei, il motto posto dai nazisti all’ingresso di Auschwitz, rimandasse proprio alla moderna rivalutazione del lavoro in senso di un’etica borghese che lo intendeva come attività costruttiva di autonomia e creatività dell’uomo, che oltre a tenerlo lontano dal vizio, sarebbe stata fonte di virtù e realizzazione di sé, piuttosto che al significato più intimo e antico che fin dalla Bibbia ( che lo riconduce a una condizione di imperfezione e colpa dell’uomo scaturita dal peccato originale) gli venne attribuito, intendendolo in tutta la tradizione giudaico-cristiana, come molestia, necessità, fatica.
Perché il lavoro era prima di tutto lavoro nei campi, cioè sinonimo di sottomissione servile, quella sottomissione che Maggiani è riuscito a sfuggire (forse) grazie al LAVORO dei suoi avi, ma soprattutto grazie alle mutate condizioni socio-economiche che, dopo lotte sindacali e non solo, si fecero tali da permettere quello che anni dopo sarebbe stato definito ASCENSORE SOCIALE e che avrebbe permesso a molti ( ma non a tutti, basti pensare alle periferie pasoliniane…) di rifuggire dall’ignoranza e dalla sue miserevoli conseguenze. Per cui credo di poter affermare che si faccia spesso anche tra persone che dovrebbero avere le armi culturali del discernimento, una gran confusione tra MISERIA e MODESTIA, tra DIGNITA’ e DEGRADAZIONE, non intendendo, o almeno non appieno, come sia fermo da un pezzo quell’ascensore in fondo al sottoscala e come nel buio di quel sottoscala sia facile smarrire la virtù, cedere alle regole dello schifo della SOPRAVVIVENZA, che tutto è fuorché LIBERTA’, DIGNITA’. E uno Stato che davvero avesse a cuore i suoi cittadini ( financo e per primi i più disagiati, i peggiori, quelli riusciti male) e la propria DIGNITA’ in quanto STATO, non incontrerebbe nessuna difficoltà ad assicurare un tetto sulla testa di ciascuno, e cibo a sufficienza e cure mediche universalmente estese. E non venitemi a raccontare quella stronzata del pesce e della canna da pesca per favore!
Ad ogni buon conto, lasciando perdere il REDDITO DI CIVILTA’ garantito comunque in quanto nati, non lo dico io ma l’articolo 4 della costituzione che:"Il lavoro è un diritto del cittadino. Lo stato deve offrire la possibilità a ogni persona di trovare un’occupazione che contribuisca al progresso sociale; è quindi anche un dovere in quanto ognuno deve esercitarlo secondo la sua competenza." E qui c’è tutto il fallimento dello STATO, che oltretutto che è? Chi è? “Siamo noi, siamo tutti noi!” Già sento rispondermi. Già, siamo tutti noi, quindi non è nessuno.
Ma voglio invece essere ottimista, e così tanto da pensare che se non dalla condizione che sia le lingue classiche (greco, latino) che quelle moderne (come il francese o lo spagnolo) usano per indicare il lavoro (rispettivamente pónos, labor, travail e trabajo) enfatizzandone la dimensione di pena, sofferenza imposta, peso, fatica, che comporta la necessità di strappare alla natura i mezzi per il sostentamento)- un giorno non lontano smetteremo di accettare la rincorsa verso il basso che elimina diritti e precarizza ulteriormente un’esistenza di cui vieppiù si fatica a comprendere il significato. Chissà, forse dovremmo tornare al pensiero classico che voleva la LIBERTA’, LA LIBERALITA’, LA GENTILEZZA, connesse all’affrancamento della fatica, attualizzando però quel bel pensiero e destinando a robot et simila- in una società sempre più automatizzata non è per forza utopistico pensarlo- quelle mansioni che Aristotele in primis vedeva appaltate ai servi.
Perché caro Maggiani, l'impossibilità che un individuo ha di poter vivere la vita che amerebbe vivere, è già di per sé povertà, e allora almeno lasciaci sognarlo un mondo migliore, dove nessuno più si spacchi la schiena per farti studiare!Così come è sempre Stato
Mi fanno tenerezza, ma anche un po' incazzare, quelli che pur riconoscendosi nella battaglia di Ilaria Cucchi, sostengono che gli appartenenti alle forze dell'ordine non siano tutti uguali. Grazie al cazzo, vien facile commentare, e grazie anche a monsieur de La Palice. Perché è chiaro a tutti che non possano esistere individui del tutto simili gli uni agli altri, ma è quella divisa, quell'appartenenza, quella malintesa fratellanza e solidarietà che impedisce normalmente di denunciare i comportamenti che, se non avvenissero in numero tanto elevato potremmo definire eccezioni ma che sono invece, vista la quantità, la norma. Mi fanno tenerezza ma pure incazzare quelle persone, anche colte e intelligenti, che sostengono di conoscere personalmente molti poliziotti e carabinieri, o guardie penitenziarie e di poter quindi sostenere che siano di sicuro brave, bravissime persone, solo perché salutano e sono ottimi vicini di casa, gentili e premurosi con gli anziani, socievoli e giocosi coi bambini. Può essere, perché no, ma non è quello il criterio di valutazione più appropriato, fuori dal loro ambito c'era chi giurava che anche molte SS fossero bravi ragazzi o, per cambiare ambito pur rimanendo sulla stessa medaglia solo sull'altra faccia, Pablo Escobar al suo paese c'è ancora chi lo piange...
Mi fanno tenerezza ma soprattutto incazzare, e penso sia un po' anche per colpa loro se tutti resterà così come è sempre Stato.
L'eccezione del caso Cucchi
Certo ogni medaglia ha sempre due facce, e sarà che sono affetto da questa malattia che mi fa sempre intravvedere quella in ombra, ma ho timore che gioire esageratamente per la dichiarazione/confessione del carabiniere collega dei due che avrebbero ( purtroppo per deformazione garantista devo usare il condizionale) ammazzato Cucchi, nasconda un pericolo, quello di pensare appunto che in fondo non siano tutti uguali ( e infatti già ascolto e leggo commenti entusiastici perché la dichiarazione/confessione dimostrebbe che la verità alla fine viene a galla, i cattivi la pagano e la giustizia trionfa.) Purtroppo non è così, o almeno quasi mai lo è, e il caso Cucchi rappresenta l'eccezione e non la regola, perché non tutti hanno una famiglia con le possibilità intellettuali ed economiche e una sorella tanto forte e ostinata, come quelle di Stefano. Ogni giorno in Italia le forze dell'ordine ( tutte le forze dell'ordine) abusano del loro potere, spesso lo fanno in maniera violenta ma per lo più verso gli "ultimi" veri, categoria alla quale Cucchi, proprio in virtù della sua estrazione non può essere ascritto. Quegli ultimi non sono necessariamente stranieri, ma spesso è così. Quegli ultimi non sono sempre carcerati, ma spesso è così. Quegli ultimi non sempre soffrono di patologie psichiatriche, ma ogni tanto è così e allora un tso si trasforma in un omicidio. Non bisogna quindi correre il rischio di trasformare il caso Cucchi in un paradigma salvifico per le forze dell'ordine ( normalmente in casi non mediatici protetti da una magistratura altrettanto complice), bisogna invece riflettere sul fatto che senza la forza di Ilaria Cucchi e famiglia, la storia si sarebbe chiusa da un pezzo e quel carabiniere, verosimilmente, avrebbe taciuto per sempre, esattamente come fanno tutti gli altri tutti i giorni.
Il ponte e le barricate
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